Fido PZ, Italia

Per comprendere cosa abbia significato l’esperienza Fidonet per tantissime persone bisogna fare oggi un grande salto con la fantasia. Immaginare un mondo senza smartphone, lettori MP3, ADSL e, soprattutto, senza internet. Anche per chi ha direttamente vissuto quei periodi è un passo oggettivamente difficile: siamo così assuefatti ai risultati della rivoluzione microelettronica che oggi ci sembra quasi impossibile che sia esistito un momento in cui tutto questo non c’era. E’ però importante non dimenticare i tempi in cui l’unica risorsa per telefonare fuori di casa era costituida dalle cabine telefoniche, utilizzando i mitici gettoni, ed i computer erano delle enormi apparecchiature con una miriade di ammiccanti lucette.

Come descrivo in altre pagine di questo sito, agli inizi degli anni ’80 la tecnologia cominciò ad offrire a costi ragionevoli gli strumenti di base per la interconnessione dei personali computer. Chip, come l’AM7910, permettevano la realizzazione di modem economici ed alla portata degli hobbisti. Modem automatici come l’Hayes smartmodem consentivano la creazione di sistemi automatici in grado di offire servizi attraverso la rete telefonica voce. Nacquero i primi CBBS (Computer Bulletin Board System, bacheca computerizzata), sistemi, per lo più amatoriali, a cui ci si poteva connettere, registrarsi e lasciare messaggi come in una sorta di bacheca elettronica.

Qui da noi in Italia, la situazione era purtroppo molto più complessa.

Tutti i servizi telefonici, compresa la trasmissione dati, erano sotto il controllo totale della Sip, la Società Italiana per l’Esercizio Telefonico. Tutta la rete telefonica, compresa la porzione che entrava nelle abitazioni, era di loro proprietà, ed era espressamente vietato collegare qualsiasi dispositivo di terzi. In più alla trasmissione dei dati era associata una imposta specifica.
Io mi trovavo in una posizione particolare, visto che il centro di calcolo per cui lavoravo, e di cui ero socio, utilizzava numerose connessioni dati per erogare i suoi servizi presso la clientela. Avevamo una batteria di modem su linea punto-punto dedicata, ed anche di due modem su linea commutata: un gigantesco V23 (75/1200bps) che occupava 4 unità rack 19″, ed un modem V21 (300bps),  un po’ più compatto. La forma, almeno nel mio caso, era quindi salva.
Era una situazione che però rendeva pressoché introvabili modem alternativi sul mercato nazionale italiano.

Nonostante fosse qualcosa tutto sommato simile al mio lavoro, io avevo un grande interesse nella sperimentazione di soluzioni amatoriali in ambito di trasmissione dati. Dal mio punto di vista era una proiezione dell’attività di radioamatore molto simile all’esperienza dell’RTTY o del packet radio, due modalità di collegamento a mezzo computer. Per cui cominciai fare un po’ di sperimentazione usando come host un HP150, un 8088 non IBM compatibile che usavamo come console di sistema per l’HP3000, con un programma che avevo scritto in HP BASIC, che era l’unico linguaggio che avevo disponibile su quell’unità. L’ispirazione era, ovviamente, CBBS , ma certo non pensavo a reali applicazioni pratiche.

Il mio punto di vista cambiò radicalmente alcuni mesi dopo, quando lessi della iniziativa di Tom Jennings dalle pagine di Byte. Le reti di computer a quei tempi erano una sfida interessante e stimolante, che ero intenzionato ad affrontare.  Ma le tempistiche di allora non erano quelle di oggi: recuperare il software attraverso il mio canale Public Domain fu molto lungo. Fidonet apparve negli elenchi della libreria inglese dopo un bel pezzo, e ci volle più di un mese perché i floppy fossero fisicamente nelle mie mani. Al pomeriggio del 26 dicembre 1984 la prima installazione, grezza, di Fido Potenza (aka South Italy CBBS) era online per la prima volta.

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La messa a punto delle varie configurazioni portò via un altro paio di settimane. Intorno alla metà di gennaio del 1985 il BBS era in condizioni operative, ma mancava ancora di un componente importante. Il modem che avevo disponibile, il V21 Sip, non era ovviamente smart, quindi Fido Potenza poteva ricevere, ma non collegarsi autonomamente al resto della rete. In questo mi venne in soccorso il coordinatore europeo, Henk, che si offrì di chiamare lui periodicamente il mio nodo per il tempo necessario a recuperare dall’estero un modem compatibile.

A fine febbraio Fido Potenza era in piena forma: girava su un compatibile 8086, con 640k di RAM ed un hard disk da 20MByte, che all’epoca era un sistema performante.

fido_welcome
Il banner di benvenuto di Fido Potenza, 1985

In piena sincerità, il mio interesse primario era meramente tecnologico, ed ero abbastanza sicuro che al mio BBS si sarebbero collegati giusto pochi amici, appassionati di informatica e delle nuove frontiere. Rimasi quindi piacevolmente sorpreso del fatto che il numero degli accessi era decisamente maggiore delle aspettative. Ancora oggi non riesco a spiegarmi come mai, nel giro di poche settimane e senza nessun tipo di pubblicità, Fido Potenza sia riuscito a costruirsi una solida base di utenti fedeli. Sicuramente avevo sottostimato il numero degli appassionati già in possesso di un modem,  così come le reali potenzialità del tam tam, che evidentemente funzionava bene anche in epoche in cui non esistevano nè internet, nè i suoi social network.
Cosa altrettanto importante, assieme agli utenti arrivarono anche le richieste di Sysop che volevano entrare nella rete.

Fidonet, specie in quegli anni, non era una struttura propriamente democratica, nonostante Tom Jennings avesse idee anarchiche e pensava alla sua rete come regolata esclusivamente da regole tecniche. Gli incarichi di coordinamento erano sostanzialmente assegnati dall’alto, ed Henk aveva chiesto a me di coordinare i nodi italiani. I primi due nodi ad entrare in rete furono Fido Alessandria, di Flavio Bernardotti, e Fido Pordenone, di Adolfo Melilli.
Più di qualcuno nel tempo mi ha chiesto perché Flavio ed Adolfo fossero i nodi 3 e 4 e chi fosse il nodo 2. In realtà 33/2 era una mia seconda installazione di Fido che avevo attivato agli inizi per testare le funzionalità del sistema e che usavo per sperimentare le nuove release di software che si susseguivano molto velocemente.

Alcuni mesi più tardi la nodelist del 7/2/1986 fotografava così la rete italiana:

Region,33,Italy,I,Giorgio_Rutigliano,39-971-354**,300,
,1,FIDO_PZ,Potenza_Italy,Giorgio_Rutigliano,39-971-354**,300,CT1
,3,FIDO_AL,Alessandria_Italy,Flavio_Bernardotti,39-131-3555**,300,CT1
,4,FIDO_PN,Pordenone_Italy,Adolfo_Melilli,39-434-320**,300,CT1
,5,SOFT_SERVICE,Milano_Italy,Franco_Vandelli,39-2-2284**,300,CT1
,6,CIFT,Messina_Italy,Pietro_Princi,39-90-3010**,300,CT1
,7,TELEMAX,Palermo_Italy,Marcello_Mannino,39-91-5600**,300,CT1

Purtroppo gran parte delle nodelist di quei primi mesi sono andate perdute per sempre, ma sarebbe stato interessante ripercorrere, con gli occhi di oggi, lo sviluppo della distribuzione dei nodi sul territorio.  A differenza di quanto sarebbe forse lecito supporre – una concentrazione in prossimità dei grandi centri urbani – nella realtà si è verificato l’esatto opposto. In larga parte i nodi erano distribuiti quasi casualmente sul territorio. Anche l’Italia è stata la terza nazione europea ad aderire alla rete, ben prima di altri paesi, come Francia e Germania, che oggi consideriamo sicuramente più tecnologici del nostro.
Io leggevo questi dati come una chiara indicazione di quanto le tecnologie digitali fossero in grado di scavalcare la carenza di infrastrutture, e di quale importante ruolo avrebbero potuto avere le nello sviluppo dei territori, specie quelli interni e meno avvantaggiati… se solo avessimo avuto persone più lungimiranti ai comandi del nostro paese.

Tornando a questioni più tecniche, agli inizi l’interconnesione fra i nodi era più virtuale che reale. Per mantenere bassi i costi di gestione la posta elettronica veniva usata praticamente solo per mantenere le comunicazioni fra i Sysop, mentre gli utenti avevano a disposizione solo la messaggistica locale.
Non era, però, solo questione di costi. Per la normativa italiana il servizio postale era una esclusiva dello Stato. La posta elettronica era soggetta alla stessa regolamentazione, o era una forma totalmente nuova di comunicazione? Nel dubbio meglio avere prudenza, ed evitare di andare incontro a brutte sorprese.
Non deve quindi meravigliare se in questa intervista a Rai Tre del 12 gennaio 1986, uso ripetutamente la parola teoricamente: della serie, si fa ma ma è meglio non dirlo.

Un paio di mesi dopo Jeff Rush inventa l’EchoMail e le cose cambiano completamente. Anziché messaggi privati, che potevano essere considerati posta, le aree echomail (che io avevo battezzato in italiano conferenze) erano costituite da messaggi pubblici, quindi sicuramente non creavano problemi di tipo normativo.
Fu un successo pressoché immediato e con esse FidoNet diventava una rete in grado di veicolare concretamente messaggi su aree geograficamente molto vaste. Ovviamente il volume di traffico generato costituiva un problema oggettivo,  visto che si riflettevano sui costi di gestione. Le tematiche delle conferenze erano quindi scelte con molta attenzione in modo da pesare e bilanciare i pro (l’interesse) ed i contro (il costo).

Le richieste di attivazioni di aree tematiche erano veramente tantissime, e provenivano dai settori più svariati. Nella policy echomail, nei link in basso, c’è un elenco delle principali aree italiane attive nel 1990.
Su EchoMail vorrei citare anche una curiosità: suscitò un interesse molto serio anche in un movimento politico dell’epoca, che voleva utilizzarla come veicolo di raccordo con la base ed il territorio … oltre dieci anni prima della nascita del M5S.

E’ facile comprendere che la gestione di Echomail fosse abbastanza gravosa, per cui in breve giungemmo alla nomina un coordinatore ad hoc. Il primo a coprire questo ruolo è stato Stefano Pasquini. Ogni area EchoMail, poi, era gestira da un supervisore, il moderatore, che assicurava sia il rispetto dei regolamenti, che l’attinenza dei messaggi al tema dell’area.

L’uso della rete era infatti soggetto al rispetto di due distinti regolamenti  (policy): uno generale ed uno specifico per l’attività echomail. FidoNet  si è dotata molto presto di un regolamento, la prima versione è dell’ottobre del 1985, con fin dal primo momento una sezione dedicata alla risoluzione delle dispute. Devo dire che la filosofia di fondo era originale, ma valida, ed era basata su un concetto di base molto immediato: non essere successibile e non rompere. Alla traduzione della policy internazionale (la versione 4 dell’86 è rimasta sostanzialmente immutata) avevo associato anche un regolamento nazionale che regolava i rapporti nell’ambito dell’Italia.

Rileggendole oggi è facile constatare come le regole fossero tutt’altro che democratiche. In effetti c’era una logica ben precisa dietro questa apparente rigidità. Mantenere operativa e funzionale una struttura complessa, eterogenea, formata da persone con finalità molto variegate, ed in cui le azioni di singoli membri potevano ripercuotersi, in termini di costo, richiedeva norme chiare e che fossero rapidamente applicabili.
In effetti la litigiosità in ambito FidoNet era così frequente che la rete si è guadagnata il non molto piacevole nomignolo di fight-o-net, la rete dello scontro. Da noi in Italia le cose sono filate molto più lisce, personalmente non ricordo di situazioni particolamente problematiche. Merito forse del carattere dei nostri connazionali, ma anche della bella squadra di sysop e coordinatori che costituiva la rete italiana. A distanza di tanti anni, un bello spaccato di quel periodo è quello che traspare dalle pagine di Telematicus, la ezine FidoNet curata da Maurizio Codogno, consultabile al link nel riquadro.

Così almeno fino all’11 Maggio del 1994, quando un ciclone travolge la rete.

Ma è un evento che merita un racconto a parte.

Se avete preso parte all’esperienza FidoNet e avete voglia, lasciate un commento raccontando il vostro pezzo di storia.

Info

Il logo fidonet ascii-art è di John Madil, quello grafico è di Dmitriy Ignatov

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